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Intervista a Denise Carniel

Per il progetto InPoint della Fondazione Don Guanella abbiamo invitato Denise Carniel, attivista e consigliera comunale a Bellinzona. Con lei abbiamo parlato di accessibilità, turismo inclusivo e delle sfide che ancora oggi caratterizzano il Canton Ticino e i suoi Comuni. Di seguito trovate l’intervista realizzata dai ragazzi e dalle ragazze della Preformazione, insieme a una stagista esterna che ha aderito al nostro progetto.

L’iniziativa offre ai giovani del territorio un’esperienza formativa concreta e dinamica: uno stage estivo di almeno un mese all’InPoint, durante il quale è possibile entrare in contatto diretto con il pubblico e con la realtà turistica locale, sviluppare competenze relazionali, organizzative e di comunicazione, lavorando fianco a fianco con professionisti e professioniste del settore educativo e della promozione del territorio. Inoltre, per riconoscere il loro impegno e rafforzare il senso di responsabilità e partecipazione al progetto, viene offerto loro un piccolo contributo mensile, pensato come segno di valore e apprezzamento del lavoro che svolgono all’interno della comunità.

Gli stagisti e le stagiste coinvolte si sono preparate con cura, hanno fatto le domande a Denise Carniel e poi l’hanno accompagnata in un vero e proprio tour narrativo per le vie del borgo di Riva San Vitale, raccontando storie e curiosità del paese.

 

Conosci Riva San Vitale e le sue attrazioni turistiche?

In realtà conosco bene il Luganese e i suoi principali paesi, ma il Mendrisiotto e Riva San Vitale li conosco poco. Proprio per questo sono felice di scoprirla insieme a voi oggi.

 

Si può definire Riva San Vitale un paese accessibile?

Per quello che ho visto finora, direi di no. Faccio un esempio: dalla stazione di Capolago sono arrivata qui con un autobus troppo piccolo per permettermi di muovermi liberamente con la mia sedia a rotelle elettrica. La TPL (Trasporti Pubblici Luganesi), ad esempio, utilizza mezzi più spaziosi e il personale segue corsi di sensibilizzazione; non so se lo stesso avvenga per l’AutoPostale. L’autista è stato però gentile ed era preparato nell’utilizzo della pedana, il che non è affatto scontato, ma ha dovuto farmi scendere in un punto diverso rispetto alla fermata di Riva San Vitale Piazza: lì, infatti, ci sono delle barriere architettoniche, dei blocchi di cemento sul marciapiede che ostacolano il passaggio. Ma anche nel punto alternativo, dove sono scesa, la pedana non poggiava su una superficie a norma, era troppo in pendenza.

Per questo credo sia importante che il Comune, lo dico in maniera costruttiva e non accusatoria, rifletta su come diventare davvero inclusivo. Un paese accessibile per una persona in sedia a rotelle lo è anche per una donna incinta, per chi spinge un passeggino, per un anziano col deambulatore o con il bastone, e persino per chi ha difficoltà visive.

 

Su cosa deve ancora lavorare il Canton Ticino nell’ambito del turismo accessibile?

Secondo me ci sono due aspetti fondamentali. Il primo è quello pratico: ridurre le barriere architettoniche, sistemare marciapiedi e ingressi dei negozi. Non è semplice, ma nemmeno impossibile. Il secondo riguarda il cambio di mentalità: bisogna capire che l’accessibilità non è solo legata agli spostamenti sanitari. In Ticino, ad esempio, la Croce Rossa offre un servizio di trasporto, ma solo per visite mediche o fisioterapia, come se una persona con disabilità non avesse una vita sociale. Anche noi vogliamo andare al cinema, al ristorante, lavorare, vivere pienamente.

Faccio un esempio personale: quando sono stata eletta al consiglio comunale di Bellinzona, è emerso subito un grosso problema. L’edificio municipale non era accessibile: niente ascensore, e io con la carrozzina elettrica non potevo entrare. Mi fu proposto un montascale cingolato, una sorta di sedia del dentista con cingoli: poco comoda e dannosa per la schiena. Per mesi l’ho usato, per non sembrare polemica, ma alla fine il medico mi ha vietato di continuare e ho dovuto scrivere a Berna per ottenere un montascale adeguato. Il problema è che molte città ticinesi sono di origine medievale e non si può intervenire senza l’autorizzazione dell’Ufficio dei beni culturali. Questo complica tutto, ma non può essere una scusa per rinunciare all’accessibilità.

In Ticino ci sono tante persone di buon cuore che si impegnano, ma il ritardo è ancora grande. Spesso a occuparsi di accessibilità sono persone che non hanno mai usato una carrozzina o vissuto certe difficoltà in prima persona. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità dice chiaramente: «Non si parli più di noi senza di noi». Ecco, il primo passo è proprio questo: vedere i problemi, ascoltare chi li vive e costruire insieme soluzioni concrete.

 

Come si potrebbe valorizzare il patrimonio culturale ed enogastronomico di Riva San Vitale, e del Mendrisiotto, in chiave accessibile?

Poche persone lo sanno, ma esiste un’applicazione chiamata Ginto, che fornisce informazioni su diversi aspetti dell’accessibilità, come toilette, parcheggi, hotel e altro, aiutando a pianificare viaggi senza barriere. In pratica, è come un “Tripadvisor dell’accessibilità”. L’app è attiva in tutta la Svizzera e, in Ticino, l’obiettivo è farla conoscere sempre di più.

Ad esempio, per quanto riguarda i servizi igienici per le persone con disabilità, per legge dovrebbero essere tutti chiusi e accessibili solo con una chiave chiamata Eurokey. Si tratta di un sistema universale che permette di entrare in ascensori, bagni, spogliatoi e altri impianti riservati. Questo è particolarmente importante se si pensa che circa il 70% delle donne con disabilità motoria è cateterizzata e ha bisogno di un bagno pulito e sicuro per gestire autonomamente un processo delicato. Se il bagno fosse accessibile a chiunque, non sarebbe possibile garantire le condizioni necessarie. Fortunatamente, ottenere la chiave Eurokey è semplice: costa 16 CHF, può essere richiesta alla Pro Infirmis e rimane propria per sempre.

Allo stesso tempo, dal punto di vista commerciale, per un ristorante o qualsiasi attività essere segnalati come accessibili è un grande vantaggio: rappresenta una pubblicità positiva e concreta. Proprio per questo, io e il mio gruppo di lavoro stiamo cercando di importare dalla Svizzera interna uno sticker simile a quello “Formiamo apprendisti”, da applicare sulle porte dei ristoranti, con scritto “Qui è accessibile”, così che le persone con disabilità non debbano chiedere ogni volta. Inoltre, se i punti informativi turistici verificano e segnalano i ristoranti che rispettano già questi standard, si può creare una lista affidabile per chi ha esigenze particolari.

Nonostante questi strumenti, chi ha delle disabilità sa che nel 90% dei casi, quando va in vacanza, non troverà quello che servirebbe davvero. Un altro enorme fastidio è, ad esempio, che nei ristoranti gli adulti con disabilità spesso non vengono considerati autonomi: non gli viene servito vino, o si presume che debbano bere poco. Allo stesso modo, se una persona con disabilità va a cena, si chiede all’accompagnatore cosa desidera mangiare, invece di rivolgersi direttamente a lei. Sarebbe come chiedere alla madre di un bambino di due anni il nome del figlio invece di chiedere al bambino stesso. Questo atteggiamento fa sentire le persone incapaci di scegliere e autodeterminarsi, quando invece dovrebbero essere trattate come tutti gli altri.

Il problema si estende anche agli hotel: molte strutture dichiarano di essere accessibili, ma in realtà presentano quella che io chiamo “accessibilità a metà”. Ad esempio, può esserci una rampa per entrare e un ascensore per salire ai piani, ma il bagno spesso è inaccessibile. In questi casi, ci si trova a dover limitare le proprie attività serali. Per migliorare davvero, bisognerebbe prendere esempio da Paesi come il Canada, dove il turismo inclusivo garantisce che chi ha difficoltà trovi servizi completi e coerenti, permettendo a tutti di godersi la vacanza senza limitazioni.

 

Come si potrebbero proporre attrazioni e attività turistiche alle persone con disabilità?

Durante un mio intervento, in occasione di una manifestazione, sono stata cinica perché ho detto: “La condizione più democratica al mondo è la disabilità, perché prima o poi tocca tutti”. Io propongo le stesse attività pensate per chi non ha disabilità, senza insistere sulle differenze. Ad esempio, come già fate, proporrei anch’io laboratori di ceramica o di plastilina, giochi di società e altre attività creative per i bambini. Tutti, indipendentemente dalle proprie capacità, hanno bisogno di rispetto, cura, tenerezza e allegria; basta creare contesti che permettano di esprimersi attraverso l’azione e di incontrare gli altri. Per quanto riguarda il tour del borgo, l’idea di raccontare i luoghi è davvero bellissima, proprio perché alcune aree storiche o architettoniche non sono completamente accessibili. Un consiglio concreto che vi potrei dare riguarda il Museo delle biciclette nel nucleo storico: poiché non è totalmente accessibile, in alcune occasioni si possono esporre le biciclette all’esterno, permettendo anche a chi non può entrare di vederle. Inoltre, per supportare i ragazzi che narrano in maniera professionale ed esaustiva, è utile integrare anche supporti audio e video, in modo che l’esperienza sia fruibile a tutti.

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