Per il progetto InPoint della Fondazione Don Guanella, i ragazzi e le ragazze della Preformazione, insieme a una stagista esterna, hanno realizzato un’intervista a Cecilia Soresina, dottoranda in letteratura e divulgatrice sui social. Attraverso i suoi profili Instagram e TikTok, Cecilia racconta la sua quotidianità come persona cieca e promuove una cultura dell’inclusione, dell’accessibilità e della consapevolezza.
Durante l’incontro sono emersi alcuni punti critici sull’accessibilità in Ticino, soprattutto nell’ambito turistico e culturale, evidenziando quanto ci sia ancora da fare per rendere il territorio davvero aperto a tutti e tutte. L’obiettivo di queste interviste è proprio quello di dare voce a persone direttamente coinvolte e di offrire un servizio di narrazione turistica accessibile e inclusivo, in linea con la missione del progetto InPoint. L’iniziativa offre ai giovani del territorio un’esperienza formativa concreta e dinamica: uno stage estivo di almeno un mese durante il quale è possibile entrare in contatto diretto con il pubblico e con la realtà turistica locale, sviluppando competenze relazionali, organizzative e comunicative. Gli stagisti e le stagiste lavorano fianco a fianco con professionisti e professioniste del settore educativo e della promozione del territorio e, per riconoscere il loro impegno, viene offerto loro un piccolo contributo mensile come segno di apprezzamento per il lavoro svolto nella comunità. In questa occasione, i partecipanti al progetto hanno intervistato Cecilia Soresina e l’hanno accompagnata in un tour alla scoperta del borgo di Riva San Vitale, esplorandone insieme il potenziale inclusivo e raccogliendo spunti preziosi per rendere il territorio più accessibile.
Per prima cosa raccontaci qualcosa di te.
Mi chiamo Cecilia Soresina, ho 27 anni e sto svolgendo un dottorato di ricerca in letteratura. In pratica, mi pagano per leggere e scrivere — cosa che trovo bellissima! Nel tempo libero gestisco un profilo Instagram e uno su TikTok dove provo a spiegare, sempre con molta ironia, cosa significhi essere una persona cieca. Il mio obiettivo è quello di sensibilizzare i miei followers su temi come l’inclusione, la diversità e l’accessibilità.
Cosa fai durante le tue giornate?
Mi piace molto leggere al computer e scrivere. Vado spesso al cinema: riesco a seguire i film, soprattutto se sono commedie o film non troppo visivi, magari con una trama semplice. Se vado con un’amica o con mia mamma, ogni tanto mi spiegano cosa succede sullo schermo. Anche su Netflix ormai ci sono molti film con audiodescrizioni, e questo aiuta tantissimo. Oltre a questo, esco con gli amici, viaggio e faccio le stesse cose che fanno tutti. Molte persone pensano che, solo perché non vedo, io non possa uscire o divertirmi, ma non è così: con un po’ di accorgimenti si può fare quasi tutto. Ovviamente non posso guidare… ma con le auto che si guidano da sole, chissà, magari un giorno anche quello sarà possibile!
Come si chiama il tuo cane guida e come vi trovate insieme?
Si chiama Gloria, ha cinque anni e vive con me da tre. Lavora come cane guida senza ricevere uno stipendio, e questo è davvero un’ingiustizia! Prima di avere Gloria ero una cieca con il bastone, ora invece posso muovermi con maggiore autonomia. Va chiarito che un cane guida non è un GPS: non puoi dirgli “portami alla Denner di Riva San Vitale”. Deve conoscere i percorsi, e io glieli ho insegnati. Gloria si ferma davanti agli scalini, evita ostacoli e persone, ma non distingue i colori dei semafori, perché i cani vedono solo in bianco e nero. Lei è il mio primo cane guida: si può avere a partire dai 18 anni, perché bisogna essere responsabili della sua cura, nutrirlo e gestirlo in autonomia.
Conosci Riva San Vitale e le sue attrazioni turistiche? Pensi si possa definire un paese inclusivo?
Sì, la conosco perché sono cresciuta a Mendrisio, quindi è difficile non conoscerla. Da bambina ho visitato il Battistero con il gruppo di catechismo. Da adulta, invece, non saprei dire se ad oggi Riva San Vitale sia davvero un paese inclusivo… lo scopriremo insieme.
Tra le attività che svolgiamo nel progetto InPoint, due mattine alla settimana accogliamo i gruppi di bambini dei centri estivi dell’Associazione Famiglie Diurne del Mendrisiotto. Con loro organizziamo un tour turistico di Riva San Vitale, una caccia al tesoro a tema per i più piccoli e dei laboratori con l’argilla. Secondo te, quali potrebbero essere attività a tema turistico adatte anche a bambini e bambine con condizioni visive diverse?
I bambini ciechi o ipovedenti possono fare tantissime cose. Mi avete raccontato che usate l’argilla, e trovo che sia un’idea bellissima: modellare, più che dipingere, è un’attività molto divertente per chi non vede. Oltre a questo, si possono organizzare giochi con la musica oppure cacce al tesoro sensoriali, in cui gli indizi non si leggono ma si ascoltano, si toccano o si annusano. Non è difficile: basta pensare di coinvolgere gli altri sensi, che nelle persone cieche sono spesso più sviluppati. Così anche loro possono partecipare e divertirsi pienamente.
Come si potrebbe valorizzare il patrimonio culturale ed enogastronomico di Riva San Vitale e del Mendrisiotto in chiave inclusiva, in particolare per le persone cieche?
Credo si potrebbe lavorare molto sull’aspetto sensoriale. Aggiungere scritte in braille e puntare maggiormente sull’audio — per esempio attraverso audioguide o visite guidate condotte da persone competenti, che sappiano trasmettere ciò che raccontano anche a chi non può vedere.
Non sono un’esperta di accessibilità museale, parlo dalla mia esperienza personale di persona cieca, ma penso che rendere l’esperienza più “ascoltabile” e, dove possibile, anche tattile, sarebbe un grande passo avanti.
Secondo te, su cosa dovrebbe ancora lavorare il Canton Ticino nell’ambito del turismo accessibile?
Sicuramente bisognerebbe introdurre il braille in modo più diffuso — sui cartelli informativi, nei musei, per strada. Servirebbero anche materiali accessibili in formato audio. Penso sarebbe importante potenziare le audioguide, così che una persona possa ascoltare anziché leggere, soprattutto nei musei. Un altro aspetto è quello economico: spesso in Ticino pago il biglietto d’ingresso, mentre in molti altri Paesi le persone con disabilità entrano gratuitamente. È un piccolo gesto, ma fa la differenza. Diciamo che, da questo punto di vista, la Svizzera potrebbe essere un po’ più inclusiva.
In Svizzera esistono infopoint inclusivi?
Non ne sono sicura, anche perché l’idea stessa di infopoint oggi è un po’ superata. Personalmente non li frequento: di solito cerco le informazioni online o mi muovo con amici. Posso però immaginare che non ce ne siano molti, anche perché già solo distribuire una mappa non è un approccio inclusivo: per una persona cieca, una mappa cartacea non è di grande aiuto.
Nella tua esperienza personale, hai notato differenze di trattamento tra il Canton Ticino e gli altri Cantoni dal punto di vista turistico?
Non posso dire di aver fatto tantissimo turismo in tutta la Svizzera, ma posso parlare della differenza tra il Ticino e il resto del mondo. Qui non sono ancora molto abituati alle persone con disabilità visiva: se arrivi e chiedi un biglietto ridotto in un museo, spesso non sanno come gestire la situazione. A volte capita che io sia la prima persona cieca che vedono. Ricordo, ad esempio, che ai castelli di Bellinzona una signora non voleva lasciarmi salire perché aveva deciso che non potevo fare le scale… ma io, anche se non vedo, cammino senza problemi! Credo che ci siano sempre buone intenzioni, ma manca la formazione. Viviamo in un territorio piccolo, quindi è normale che ci siano meno occasioni di incontro con persone con disabilità. In una grande città, come Zurigo o Milano, è diverso: lì ne vedono molte di più e l’approccio cambia. Di recente sono stata in Perù — sono tornata da pochi giorni! — e ho fatto un viaggio incredibile, sono stata in Amazzonia, ho fatto rafting e molte esperienze particolari. Lì, però, le persone erano davvero spiazzate: non erano abituate alla disabilità. Dipende molto da dove vai e da come le persone reagiscono. Per contro, in altri luoghi si trovano realtà molto più preparate: ad esempio, al MoMA di New York ci sono stanze dedicate alle persone cieche o ipovedenti, con quadri in rilievo e descrizioni audio per ogni opera. Quello sì che è un approccio davvero inclusivo.
Dal punto di vista professionale, com’è la situazione per le persone cieche?
Purtroppo è ancora molto difficile. Io ho avuto la fortuna di frequentare scuole ordinarie, ma fino a 30-40 anni fa le persone cieche o ipovedenti non avrebbero potuto accedere all’istruzione tradizionale: sarebbero state indirizzate a scuole speciali. Oggi studiare e frequentare l’università resta complesso, e una volta terminati gli studi ci si trova spesso completamente soli nella ricerca di un lavoro. Nel mio caso, anche con ottimi voti e una formazione completa, inviare curricula è stato un percorso difficile: non sai mai se dire subito che non ci vedi, perché potrebbe precluderti il colloquio, oppure rischi che non ti assumano automaticamente. In Ticino, poi, le persone cieche sono poche, molte sono anziane e non cercano lavoro, quindi la situazione lavorativa non è semplice. Io ho avuto fortuna: un professore con cui mi ero laureata aveva un posto libero in università e mi ha proposto di diventare sua assistente. Chi poteva dire di no a un’occasione così?
E dal punto di vista delle relazioni sentimentali?
Non sono molti i maschi disposti a uscire con una ragazza non vedente, e non esiste un vero “Tinder per ciechi”. Le app di incontri tradizionali si basano tutte sulle foto, che io non posso vedere, e spesso le persone notano prima la disabilità e non la persona. Una mia amica non vedente ha avuto una relazione con un ragazzo vedente senza problemi, ma i genitori di lui cercavano di ostacolarli per pregiudizi sulla disabilità. Essere ciechi, in un certo senso, permette di concentrarsi su altri aspetti: l’aspetto fisico passa in secondo piano, e ciò che conta è l’intelligenza, l’ironia, la simpatia della persona, non i canoni estetici.
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